Tradizione e semplicità, testimonianza di un’eredità contadina mai dimenticata. Piatti genuini, ingredienti poveri, ma dall’inconfondibile sapore: dal tartufo alla norcineria, dai formaggi alla porchetta, dall’agnello arrosto a piatti morbidi e delicati a base di legumi e cereali, come il semplice impasto di acqua e farina da cui nascono i famosi Strangozzi.
Tradizione e semplicità, testimonianza di un’eredità contadina mai dimenticata. Piatti genuini, ingredienti poveri, ma dall’inconfondibile sapore: dal tartufo alla norcineria, dai formaggi alla porchetta, dall’agnello arrosto a piatti morbidi e delicati a base di legumi e cereali, come il semplice impasto di acqua e farina da cui nascono i famosi Strangozzi.
Questo eccezionale fungo a sviluppo sotterraneo ha una grandezza che può variare da quella di una noce per arrivare a una mela.
Nei boschi della Strada del Sagrantino sono presenti almeno due specie:
È questo il nome dato, in questa zona, alla pasta acqua e farina, il cui uso è comune in tutto il resto della regione con i diversi nomi di pici, bigoli, cordelle, strozzapreti o appunto strangozzi.
Cambia il nome ma non la bontà di questo piatto che resta tra i più antichi della cucina di questa zona. Si tratta di un impasto ‘povero’, in quanto non contempla l’uso delle uova e il piatto è in genere accompagnato da sughi senza carne: al tartufo, al pomodoro, al peperoncino, agli asparagi e ai funghi. Questo tipo di pasta prevede una maggiore fatica: infatti, mancando le uova che servono a legare la farina, l’impasto deve essere piuttosto consistente e quasi duro.
Il farro coltivato nel territorio della Strada del Sagrantino, è il più antico cereale prevenuto ai giorni nostri.
Nel corso dei secoli l’alimentazione contadina ha fatto particolarmente ricorso al farro: ricco di carboidrati, calcio e fosforo, impiegato nella preparazione di minestre insieme ai legumi consente di ottenere un ‘piatto povero’ che nell’apporto di proteine ed altre sostanze nutrizionali è sostanzialmente paragonabile ad un piatto di carne. Attualmente, in seguito all’accresciuto interesse per i prodotti biologici, la ricerca di alimenti sani e naturali ha portato alla riscoperta del farro nell’alimentazione.
La cultura del maiale è sviluppatissima in questo territorio. Soprattutto nei mesi invernali, a partire da metà gennaio quando tradizionalmente il maiale ‘è pronto’ per deliziare i nostri palati, braciole, puntarelle, fegatelli, fette di grasso e magro e tutte le parti dell’animale non destinate alla preparazione di insaccati sono frequentemente presenti sulle tavole di questo territorio.
La ben nota sapidità della cucina umbra, oltre che alle materie prime, la si deve in buona parte all’uso dei condimenti. Il lardo, vale a dire il grasso del maiale, soprattutto in passato ha sostituito l’olio nella preparazione di minestre e salse in quanto, battuto insieme agli odori, conferiva ad esse un sapore deciso e procurava, al contempo, un notevole apporto calorico. Lo strutto, cioè il prodotto della fusione del lardo stesso, entrava nella preparazione degli arrosti sia come ‘pillotto’ (veniva inserito insieme agli odori nei tagli fatti nei pezzi di carne), sia cosparso sulla stessa carne mentre girava sullo spiedo.
Discorso a parte merita poi la preparazione del maiale in “porchetta”.
La Porchetta, prodotto ottenuto dalla cottura di tutte le parti del suino, viene disossata, condita e aromatizzata, legandola infine con lo spago. La cottura lenta predilige l’ottenimento di una crosta croccante e dorata.
Procedura molto ben conosciuta sin dagli Etruschi e dagli antichi Romani. Gelosamente conservata, la porchetta è uno dei prodotti tipici di Bevagna.
È, invece, il piccolo borgo di Grutti, a Gualdo Cattaneo, a dare i natali al famoso “Cicotto”, oggi divenuto Presidio Slow Food, che da generazioni, di padre in figlio, ne tramanda la ricetta: orecchie, zampetti, stinco, lingua, trippa e altre selezionate frattaglie del maiale, attentamente posizionate nel forno, in cottura lenta, sotto alla sua Porchetta, da cui raccoglierà gli aromi e i liquidi di cottura, per un gusto unico, ricco e aromatico.
La produzione del miele è legata alla presenza delle api sul territorio, alla loro distribuzione, al loro stato di salute, ma non tutti valutano che la qualità finale del prodotto è anche condizionata dalla qualità dei fiori, da cui gli attivissimi insetti traggono il prezioso nettare.
Nella saggezza popolare italica, e umbro-laziale-marchigiana in particolare, c’è il convincimento che le virtù terapeutiche del miele siano numerosissime, fra queste ricordiamo l’azione sui disturbi dell’apparato respiratorio, circolatorio e digestivo, nonché sulla dentizione dei bambini: non è un caso quindi, che i dolci umbri più tipici siano addolciti ancor oggi con miele.
La maggior quantità di miele prodotto in Umbria è del tipo “millefiori”, ma non mancano produzioni “uniflorali”, legate cioè a una sola varietà di fiori come quello di trifoglio, sulla, girasole e acacia. Quest’ultimo, diversamente dagli altri che tendono a cristallizzare qualche settimana dopo la loro estrazione dai favi, può rimanere allo stato liquido per molti mesi.
Questo eccezionale fungo a sviluppo sotterraneo ha una grandezza che può variare da quella di una noce per arrivare a una mela.
Nei boschi della Strada del Sagrantino sono presenti almeno due specie:
È questo il nome dato, in questa zona, alla pasta acqua e farina, il cui uso è comune in tutto il resto della regione con i diversi nomi di pici, bigoli, cordelle, strozzapreti o appunto strangozzi.
Cambia il nome ma non la bontà di questo piatto che resta tra i più antichi della cucina di questa zona. Si tratta di un impasto ‘povero’, in quanto non contempla l’uso delle uova e il piatto è in genere accompagnato da sughi senza carne: al tartufo, al pomodoro, al peperoncino, agli asparagi e ai funghi. Questo tipo di pasta prevede una maggiore fatica: infatti, mancando le uova che servono a legare la farina, l’impasto deve essere piuttosto consistente e quasi duro.
Il farro coltivato nel territorio della Strada del Sagrantino, è il più antico cereale prevenuto ai giorni nostri.
Nel corso dei secoli l’alimentazione contadina ha fatto particolarmente ricorso al farro: ricco di carboidrati, calcio e fosforo, impiegato nella preparazione di minestre insieme ai legumi consente di ottenere un ‘piatto povero’ che nell’apporto di proteine ed altre sostanze nutrizionali è sostanzialmente paragonabile ad un piatto di carne. Attualmente, in seguito all’accresciuto interesse per i prodotti biologici, la ricerca di alimenti sani e naturali ha portato alla riscoperta del farro nell’alimentazione.
La cultura del maiale è sviluppatissima in questo territorio. Soprattutto nei mesi invernali, a partire da metà gennaio quando tradizionalmente il maiale ‘è pronto’ per deliziare i nostri palati, braciole, puntarelle, fegatelli, fette di grasso e magro e tutte le parti dell’animale non destinate alla preparazione di insaccati sono frequentemente presenti sulle tavole di questo territorio.
La ben nota sapidità della cucina umbra, oltre che alle materie prime, la si deve in buona parte all’uso dei condimenti. Il lardo, vale a dire il grasso del maiale, soprattutto in passato ha sostituito l’olio nella preparazione di minestre e salse in quanto, battuto insieme agli odori, conferiva ad esse un sapore deciso e procurava, al contempo, un notevole apporto calorico. Lo strutto, cioè il prodotto della fusione del lardo stesso, entrava nella preparazione degli arrosti sia come ‘pillotto’ (veniva inserito insieme agli odori nei tagli fatti nei pezzi di carne), sia cosparso sulla stessa carne mentre girava sullo spiedo.
Discorso a parte merita poi la preparazione del maiale in “porchetta”.
La Porchetta, prodotto ottenuto dalla cottura di tutte le parti del suino, viene disossata, condita e aromatizzata, legandola infine con lo spago. La cottura lenta predilige l’ottenimento di una crosta croccante e dorata.
Procedura molto ben conosciuta sin dagli Etruschi e dagli antichi Romani. Gelosamente conservata, la porchetta è uno dei prodotti tipici di Bevagna.
È, invece, il piccolo borgo di Grutti, a Gualdo Cattaneo, a dare i natali al famoso “Cicotto”, oggi divenuto Presidio Slow Food, che da generazioni, di padre in figlio, ne tramanda la ricetta: orecchie, zampetti, stinco, lingua, trippa e altre selezionate frattaglie del maiale, attentamente posizionate nel forno, in cottura lenta, sotto alla sua Porchetta, da cui raccoglierà gli aromi e i liquidi di cottura, per un gusto unico, ricco e aromatico.
La produzione del miele è legata alla presenza delle api sul territorio, alla loro distribuzione, al loro stato di salute, ma non tutti valutano che la qualità finale del prodotto è anche condizionata dalla qualità dei fiori, da cui gli attivissimi insetti traggono il prezioso nettare.
Nella saggezza popolare italica, e umbro-laziale-marchigiana in particolare, c’è il convincimento che le virtù terapeutiche del miele siano numerosissime, fra queste ricordiamo l’azione sui disturbi dell’apparato respiratorio, circolatorio e digestivo, nonché sulla dentizione dei bambini: non è un caso quindi, che i dolci umbri più tipici siano addolciti ancor oggi con miele.
La maggior quantità di miele prodotto in Umbria è del tipo “millefiori”, ma non mancano produzioni “uniflorali”, legate cioè a una sola varietà di fiori come quello di trifoglio, sulla, girasole e acacia. Quest’ultimo, diversamente dagli altri che tendono a cristallizzare qualche settimana dopo la loro estrazione dai favi, può rimanere allo stato liquido per molti mesi.